giovedì 25 ottobre 2012

La Pampa, la terra dei Gauchos


Argentina - La Pampa, terra dei Gauchos


"...Avevo il tempo di pensare al tempo, a come per istinto trovo sempre il passato più affascinante del futuro, a come il presente spesso mi annoia e debbo immaginarlo nel modo in cui ne ricorderò per poterne godere sul momento..." TT


capitolo 1 

E’ il 22 luglio. L’arrivo all’aeroporto di Buenos Aires è l’immagine di un brutto risveglio dopo una notte travagliata. Le poche ore di sonno rannicchiato su un sedile, mi fiaccano il cervello. La calca agli arrivi internazionali è soffocante, qualche minuto per cambiare i primi pesos poi di corsa a ritirare la macchina. Un Citroen Berlingo che d’inverni ne ha già visti più d’uno, ma il contachilometri, probabilmente ritoccato, li nasconde molto bene.
Primo trasferimento verso Cordoba, verso nord-ovest. Come ci appare subito chiaro, la strada sarà un compagno di viaggio instancabile qui in Argentina. 9 ore di rettilineo e qualche semicurva, spezzato ogni centinaio di chilometri da una rotatoria immersa nella pianura della Pampa. E "pianura", dopo questo viaggio, assumerà tutto un altro significato. Una pianura sconfinata, sembra quasi di vedere la terra piegarsi di fronte e di lato. Arriviamo in serata e l’alloggio piacevole ci fa scordare la fatica di quasi 2 giorni di viaggio ininterrotto. Poi a cena, iniziamo nel modo peggiore in un “all you can eat” dove chi, come me, non riesce a gestire i languori dettati da file interminabili di vassoi, si arena dopo un quarto d’ora di scorpacciata.
E’ mattina (23 luglio), colazione in un bar retrò convenzionato con l’hotel e via alla scoperta della città. Bisogna dimenticarsi di venire dalla vecchia Europa; la città non è preparata per orde di turisti come qualunque capitale europea o qualunque città degna di nota. Cordoba, al contrario, appare come una città moderna, vissuta e molto viva sin dalle prime ore della mattina. Si alternano grandi palazzi ad edifici e piazze più “caratteristiche” del Sud America.



Con nostro grande rammarico apprendiamo dall’ ufficio informazioni che sabato e domenica gli argentini fanno festa, ci sembra di capire dal tono o dalla poca voglia delle commesse che sia un usanza tutt’altro che sporadica in Sud America; quindi musei chiusi, tutto rimandato a lunedì.
Comunque l’inverno caldo argentino ci guida senza sosta per tutta la mattinata fino a scoprire la perla di Cordoba, il quartiere gesuita con la prima, la più antica, università argentina. La visita guidata ci mostra il patio e le aule dove tutt’ora si tengono le lezioni ed un museo tra cui spicca il registro delle punizioni agli studenti.

 

All’uscita l’aria  si è fatta ancora più calda; sembra l’ora giusta di concedersi uno spuntino e di rinfrescarsi un po’, saranno oltre 20 gradi (ma non doveva essere inverno?) e ci fermiamo per un aperitivo a base di “Empanadas” e “Quilmes”, la birra più rinomata in Argentina.


Ottime le “Empanadas” del Rincon, tanto che raddoppiamo la dose sia di cibo che di bevande e un’ idea comincia a circolare nel gruppo, perché non partire nel pomeriggio alla ricerca di qualche estancia gesuita? In fondo, abbiamo appreso, è il motivo per cui Cordoba è patrimonio UNESCO. Bene, altre due “Empanadas” e ci mettiamo in viaggio.
Sebbene i chilometri non siano molti (70?) gli ultimi 15 sono su uno sterrato degno di un rally, ma tutto sembra aggiungere fascino ad una ruta per sierras (finalmente un paesaggio collinare) osannata dalle guide che abbiamo con noi. In realtà il bel paesaggio intorno Cordoba “punteggiato di paesi caratteristici” è diventato un rifugio turistico con belle villette e strade pulite (incredibile aspetto, questo delle strade pulite, pari solo al ricchissimo New England statunitense).

  
Pittoresca la Estancia de Santa Catalina che però, essendo sabato, ci viene fatta visitare solo a metà. Un Cristo seduto con le ginocchia artritiche ci viene presentato come il vero “protagonista”. Un Cristo seduto non rappresentato in nessuna chiesa italiana (giura la guida intraprendente), tanto meno con le ginocchia artritiche dovute al lavoro nei campi. Non dimentichiamo che le estancias gesuite erano fondate sul lavoro degli schiavi, piegati tutto il giorno nei campi. Da qui le ginocchia.
Saranno le 17, fa caldo per essere inverno (saremo ancora intorno ai 20 gradi) per cui una merenda è d’obbligo. Il ‘ristorantino’ fuori la estancia non ha niente a che vedere con il rinomato ristorante a 5 stelle indicato nelle guide (ma chiuso per bassa stagione), d'altronde non era quello che cercavamo. Il formaggio fresco ed il salamino non ancora stagionato accompagnano degnamente la solita birra (vero leitmotiv della vacanza), il locale ci affascina con i sui scaffali ‘precari’ e un cliente abituale che intrattiene ‘los italianos’ con lunghi discorsi sui calciatori argentini che hanno fatto carriera nel Bel Paese.



Tornati in città dedichiamo ancora qualche ora alla visita di Cordoba e devo dire che l’atmosfera che si respira tra centinaia di bancarelle improvvisate e la gente che a tutte le ore del giorno riempie le strade ci lasciano un ricordo molto gradevole della città.


Capitolo 2


"Muovendomi ... in treno, in nave, in macchina, a volte anche a piedi, il ritmo delle mie giornate è completamente cambiato, le distanze hanno ripreso il loro valore e ho ritrovato nel viaggiare il vecchio gusto di scoperta e di avventura" TT




Il giorno seguente (24 luglio) abbiamo in programma la visita al Parque Nacional Quebrada del Condorito, riserva naturale protetta come habitat ideale per i condor. La strada per arrivare al parco è una panoramica spazzata da un vento costante, risalire le sierras è veramente affascinante, un alternarsi di saliscendi tra valli silenziose e piccoli paesi caratteristici. Completano lo scenario i colori delle rocce, le pareti ripide e le gole tagliate da una strada larga almeno 10 metri.

Arriviamo al parco in tarda mattinata e al centro informativo ci danno le indicazioni necessarie. 
Il parco si snoda su un percorso tabellato, ciò che ci colpisce ancora una volta è il grande rispetto per la natura, fantastica prerogativa tutta argentina.

Il percorso passa sulla  cresta di basse colline rocciose dove un vento costante, per nulla freddo, la fa da padrone. I 12 chilometri di sentiero (tra andare e venire) li copriamo in un tempo sorprendente (appena 3 ore), ma il vento limita lo spettacolo dei condor in volo; ci deliziano solo con qualche sporadica apparizione appena fuori le insenature che usano come riparo.


Dopo il pranzo ci dirigiamo al paese di Alta Gracia dove da qualche anno è stata inaugurata la casa museo del Comandante Ernesto “Che” Guevara. Si tratta della casa che abitò per una decina d'anni in questo paese deserto ed è proprio questo a rendere affascinante il museo, un paese quasi spettrale fatto di case di legno con giardino e pochissima gente per le strade sebbene siano appena le 18. Appare tutto surreale, ovattato (o sarà la mia suggestione?!).
Tutto cambia quando si arriva di fronte a questa casa, la risonanza che ha nella nazione (e in tutto il mondo) la potete vedere avvicinandovi all'edificio. Almeno una ventina di macchine parcheggiate alla meglio sui marciapiedi o sulla carreggiata lasciando a malapena lo spazio per passare.

Il museo è una raccolta di alcune foto di famiglia con diversi aneddoti sull'infanzia del personaggio. 
La famosa Poderosa, la moto con cui il giovane Guevara fece un viaggio di 6 mesi nella “Maiuscola Argentina” in compagnia dell'inseparabile amico Alberto Granado e che cambiò per sempre la sua vita (Dagli appunti di questo viaggio è stato tratto il film “I diari della motocicletta” (2004) e un documentario di Gianni Minà insieme a Granado che ripercorrono lo stesso tragitto a 50 anni di distanza).
La successione di foto e cimeli arriva fino alle ultime fasi della vita del “Che”, passando per la rivoluzione cubana ed i vari incarichi da ministro.
Come gesto di commiato al grande personaggio argentino, ci siamo concessi la solita Quilmes nel giardino sul retro della casa.


E' già lunedì mattina (25 luglio) ed abbiamo in programma la partenza da Cordoba in direzione Mendoza (dove non siamo mai arrivati), ma vogliamo prima vedere il museo alla memoria dei desaparecidos a Cordoba. 
Dopo il week end di chiusura spero che sia aperto, ma arrivati davanti alla porta ci comunicano che il museo aprirà solo giovedì mattina per chiudere venerdì sera.
I pannelli in plexiglas attaccati sui muri all' esterno del museo sono comunque agghiaccianti, lunghe e sinuose file di nomi di ribelli, contestatori del regime, cospiratori, liberi pensatori o presunti tali, scomparsi nel nulla ad opera del regime militare al governo del paese fino al 1983. Lunghe e sinuose file di nomi che disegnano enormi impronte digitali. Come chi ha comunque lasciato un segno; come chi, nella storia oscura dell' Argentina moderna, ha comunque lasciato un segno.


E via sulla strada. La rotta verso Mendoza è, al solito, interminabile. A ravvivare il viaggio una perturbazione proveniente dalle Ande, violenta e umida, ma tutt'altro che fredda. Nuvole di polvere si sono alzate ad oscurare il cielo e nascondere la terra, buio per qualche chilometro e rapidi scrosci d'acqua, nulla di serio.
Siamo ormai prossimi all'ora di pranzo, abbiamo fatto si e no 300km ma una pausa è d'obbligo per ribadire il concetto che SIAMO IN VACANZA. Pranzo a Rio Quarto e partenza per San Luis, la città più vicina alla nostra prossima meta, il Parque Nacional Sierra de las Quijadas.
Passiamo la notte in questa piccola città che, per quanto siamo stati, ci ha mostrato ben poco. 




La mattina seguente, molto presto, siamo partiti per il parco dove una deliziosa guardia-parco ci ha illustrato cosa vedere augurandoci una buona giornata (“Disfruten, el dia està hermoso!”).
Il parco è una groviglio di canyon scavati dall'acqua su una roccia friabile e di colore rosso intenso. Le guide che ho letto ti fanno immaginare il parco come lo scenario del cartoon famoso negli anni '80 “Wile E. Coyote e Road Runner”.
La passeggiata breve (circa 45') è incantevole, un balcone naturale si apre sopra una vallata silenziosa e lontanissima dall'umanità. Ancora una volta siamo sorpresi dal rispetto che gli argentini hanno per l'ambiente e la natura; mi vien da dire che “i parchi gli vengono proprio bene”.

Rientrati a San Luis, pranziamo in un ristorante pieno di camionisti, indice mondiale di buona cucina; ci interessa in particolare l'ASADO, uno dei simboli distintivi degli argentini nel mondo. 
N.B.: questo è il fenomenale asado del 'Tincho'!
L'asado non è solo carne alla brace, è uno stile di vita, una tradizione tramandata di padre in figlio proprio come i racconti di gauchos. 
Per asado gli argentini intendono qualunque tipo di carne (vacca o vitello che sia), cotto su una griglia a debita distanza da pochi carboni infuocati. Il tempo che impiega la carne a cuocere raggiunge le 3 ore ma la paziente attesa è ricompensata da una cottura uniforme e da una carne squisita. Non potrebbe essere altrimenti visti gli immensi pascoli che compongono La Pampa.


Affaticati più dal pranzo che dalla camminata, riprendiamo lentamente la strada per Santa Rosa, vero fulcro di tutta la vacanza. Lì abbiamo l'unico appuntamento inderogabile, un matrimonio argentino.



Capitolo 3


"Fu triste vedere la sua figura alta recedere nell'oscurità man mano che ci allontanavamo, proprio come le altre [...]: rimangono ritte e incerte sotto il cielo immenso, e tutto sprofonda intorno a loro. Dove andare? Cosa fare? E perché? [...]. 
Ma la banda di matti che eravamo continuava ad andare, sempre avanti." J.K.



Prima il tramonto e poi il buio ci trovano ancora sulla strada. I grandi spazi e il cielo sempre limpido rendono quest'ora magica. Più di un tramonto ci è rimasto impresso qui in Argentina, il rapido imbrunire e l'alternarsi di colori caldi come il giallo, l'arancione e il rosso fino al blu intenso e al buio della notte.
Sono solo le otto di sera, ma la nostra giornata è iniziata più di 13 ore fa e ci mettiamo alla ricerca di un posto dove dormire. I paesi qui intorno hanno nomi strani: Generale… Ingegnere… Ambasciatore … ma il più che ci attira è Alta Italia. Sulla cartina è distante 2 dita ad est della strada che stiamo percorrendo, ma fatti i dovuti calcoli, dobbiamo fare oltre 80 km; tanto basta a farci passare l' idea un po' scema di dormire in 'Alta Italia' pur stando in Argentina.
Stabiliamo come obiettivo minimo per questa tappa l'ingresso nella 'provincia de La Pampa', ci fermeremo al primo paese appena superato il confine.
Dormiamo a Realicò, 250 km da Santa Rosa, un paesino dove i cani, come in tutta l' Argentina, la fanno da padroni.
Una parentesi sui cani è d'obbligo: questi animali, quasi mai invadenti, li abbiamo trovati disseminati un po' ovunque, sono parte del paesaggio e vengono rispettati come tali. Vivono in giro per i paesi anche in gruppi numerosi, non di rado si sono uniti alle nostre passeggiate. Quasi sempre si tratta di esemplari meticci, bastardini, ma hanno l'aspetto curato quindi fanno pensare a cani di proprietà.

La mattina dopo arriviamo presto a Santa Rosa e l'accoglienza che ci viene riservata è emozionante. Chiunque conosciamo, qualunque persona che prova a colloquiare con noi, ci trasmette l'eccitazione di parlare con 'los italianos'. Noi, nel nostro spagnolo stentato, li obblighiamo a grossi sforzi per comprenderci, ma sembrano intenzionati a farlo, fino in fondo.


Santa Rosa, di suo, si presenta come una città tranquilla con estese zone residenziali; il centro della città si snoda intorno a plaza San Martín, la piazza principale. Le insegne di centinaia di negozi illuminano la piazza e tutte le vie limitrofe, negozi con prezzi carissimi, non inferiori ai nostri. In strada, invece, c'è un' umanità variopinta e chiassosa. Gruppi di giovani in moto si radunano ai bordi delle strade più trafficate parlando, ascoltando musica, spesso condividendo il rito del mate come fosse un momento sacro, che unisce.

Poco a sud di Santa Rosa si trova il Parque Luro, riserva di caccia dei primi del '900 dove sono stati introdotti e tuttora vivono in cattività animali selvatici europei come il cinghiale, il cervo, ma anche molte specie di uccelli tra cui alcuni rapaci. La giornata fredda (finalmente) e il cielo che minaccia la pioggia, fanno apparire tutto più silenzioso e selvaggio. Un' oasi in cui la natura sembra regnare.












I primi 3 giorni a Santa Rosa li spendiamo abbuffandoci ad ogni banchetto a cui veniamo invitati e per riposarci tra un pasto e l'altro. Presi da una botta di orgoglio (e di nostalgia) anche noi inventiamo una carbonara che, con ingredienti non proprio ortodossi, riesce speciale.

Si avvicina la data del matrimonio e la nostra preparazione è fatta a base di pasta in bianco, verdura, acqua (…e birra) e tanto riposo. Arriva finalmente l'evento che ci ha spinto oltre oceano, è sabato 30 luglio, belli e profumati saliamo sul nostro Berlingo e via… FIESTA!
La messa scorre veloce e presto ci ritroviamo in una sala da ballo per il ricevimento. Subito dopo la cerimonia civile, che in Argentina segue il rito cattolico, inizia la cena ed il calore degli argentini ci sorprende ancora.
Veniamo coinvolti in una dozzina di brindisi agli sposi e senza accorgerci siamo belli caldi per la festa.

Non mi dilungo troppo su quanto accaduto in questo sabato di festa, poiché il matrimonio è cosa privata che appartiene agli sposi prima di tutto e non spetta a me parlarne.
Grande festa, però; concludo dicendo che alle 7 di mattina ci siamo ritrovati a casa … sfiniti. Anche noi abbiamo fatto il nostro “lavoro”; recuperare non è stato facile ma, ahimè, è passata anche questa.


Ripresi dai bagordi, dopo i doverosi saluti e ringraziamenti, siamo risaliti in macchina con l'obiettivo di arrivare nei pressi di Buenos Aires, un'altra giornata per strada verso Lujan “la capital de la Fe” (la capitale della fede argentina), dove milioni di persone ogni anno si recano in pellegrinaggio e San Antonio de Areco, tipico paese gaucho.
La cattedrale di Lujan è imponente, ma gran parte dell'interno è in fase di restauro. Sulle scale d'ingresso oziano una mezza dozzina di cani, tranquilli e silenziosi.
Quella dei cani è una compagnia che in Argentina è costante. Ne abbiamo trovati un paio anche dentro la basilica, a spasso per le navate. Non allontanati da nessuno, anzi, ignorati come ognuno di noi ignora un altro turista o un fedele in preghiera.


Le due notti seguenti le trascorriamo in una estancia famosa in Argentina, proprio nell'ala che ci ha ospitato, visse Ricardo Güiraldes, uno scrittore argentino che qui creò uno dei suoi personaggi più famosi, Don Segundo Sombra.

L'atmosfera dell' estancia è particolarmente evocativa. Quattro complessi abitabili uniti da un giardino enorme compongono il nucleo centrale. Cavalli, vacche, galline, ma soprattutto i cani fanno da compagnia a noi, unici quattro ospiti.
Il paese di San Antonio de Areco è presentato dalle guide come un luogo fermo nel tempo, che ha lasciato intatto il sapore dell'epoca in cui i gauchos erano i padroni delle pianure. Allevatori, pastori o semplici briganti che a cavallo spendevano gran parte della giornata.
La signora del centro informazioni è gentilissima e ci indica cosa e come fare la migliore scoperta del 'pueblo', ma noi commettiamo l'errore di aspettarci qualcosa.
Non offre niente questo paese se non strade, edifici, negozi o "pulperie" (le public house in stile gaucho) autentici, fermi al secolo scorso quando la loro storia si compiva. Ed è questo il
bello da vedere, è questo il succo da assaporare. Il tempo ha giusto un po' sbiadito i colori di case, chiese, palazzi istituzionali. Qui siamo ancora ai primi del '900.
Certo, i cavalli sono scomparsi, sostituiti dai cavalli vapore delle automobili; ma il resto è rimasto immutato. Uno scenario che non ha bisogno di essere presentato perché è reale e si è conservato tale senza la volontà di costruire un pacchetto su misura per turisti volenterosi. A distanza di qualche giorno riesci a sentirne ancora l'odore, il sapore. Ed avverti il rammarico di non averlo gustato a pieno lì sul posto.
Interessante la visita ad un laboratorio di argenteria (Taller de plateria), qui vengono realizzati oggetti secondo la tradizione dei gauchos tra cui speroni, staffe, fibbie e ornamenti.
Un filmato presenta la figura del gaucho e di come la tradizione per gli ornamenti si è sviluppata fino ai giorni nostri.


È il 3 agosto e partiamo alla volta di Buenos Aires, meta finale del viaggio.
La strada è, al solito, dritta ed il sole quasi estivo ci accompagna fino a centro città, il tempo di prendere la camera e via, di nuovo sulla strada…